Secondo passo: Presenza e Mindfulness

Articolo tratto da “Natural Mag” – Maggio 2017 n. 19 – di Luisa Brancolini

Il secondo passo che percorriamo insieme, si focalizza sulla presenza: che cosa accade in questo preciso momento?

CitazioneNel primo passo mi sono occupata di aprire il campo per accogliere il ricevente con un pieno benvenuto, preparando la stanza di lavoro e uno spazio di ascolto dentro  me stessa.
Ora, nel secondo passo, è arrivato  il momento di sviluppare la mia capacità di essere consapevolmente  presente, prestando attenzione a quello che emerge momento per momento.
Il mio lavoro di operatrice  in biodinamica craniosacrale si basa proprio sull’approfondirsi in questa presenza nella relazione con il ricevente, in modo da poterlo sostenere nel suo processo, durante  la sessione.

Per sviluppare questa abilità  di essere presente, mi dedico un momento speciale.

Interrompo di proposito tutte le attività rivolte  all’esterno  e mi accomodo, con l’intenzione di stare per alcuni minuti in ascolto di quello che si manifesta dentro me, senza nessun altro impegno  che non sia osservare il dispiegarsi degli attimi.

Ascolto, con consapevolezza
Assumo una posizione comoda, seduta su di una sedia o a terra con le gambe incrociate, tengo la schiena ben eretta, sento la stabilità  di questa postura, sono ben sostenuta dalla terra, le braccia appoggiate comodamente sulle gambe o in grembo.
Chiudo gli occhi e divento consapevole di qualsiasi sensazione o immagine  che si presenta, la seguo per un istante e poi la lascio fluire.  Anche i pensieri, come onde del mare, vanno e vengono.
Poi mi metto  in ascolto delle 
mie emozioni,  le accolgo, lascio che siano. A poco a poco sto facendo il mio ingresso nel mondo dell’essere lasciando indietro quello del fare.
L’esperienza sensoriale si manifesta nella sua interezza, mi affido 
a questo sentire, lascio che emergano anche gli aspetti più profondi di me stessa.

secondo passo2SCANSIONE DALLA TESTA AI PIEDI
Rimango in ascolto del mio corpo, spostando l’attenzione dai piedi alla testa, come uno scanner che passa attraverso di me. Osservo il mio respiro e le sue qualità. Sento i confini della pelle che si muovono con il respiro.

Inspirando percepisco l’aria che entra nel naso ed espirando esce dalla bocca. Lascio che il respiro faccia il suo percorso, inizialmente solleva il petto e allarga i polmoni, osservo come si diffonde ed entra più profondamente in me. Il diaframma si espande, il ventre si tende, anche il bacino accoglie il mio respiro.
Osservo i toni di questa espansione. Qual è la qualità dell’aria? Come viene accolta? Espirando sento l’aria che fluisce fuori di me. Il ventre si riduce e così anche il petto.
Il respiro che esce, ha una diversa temperatura e una diversa densità. Rimango in ascolto senza giudicare, mi riempio di questa esperienza. Mi sento respirata.

Il respiro, che spesso è dato per scontato, in questo esercizio è perfettamente adatto per essere preso come oggetto dell’attenzione, per portarmi dentro al momento che sto vivendo..

Alla scoperta della quiete autentica
Jon Kabat-Zinn chiama mindfulness questa osservazione aperta e consapevole che si coltiva esercitando l’attenzione nel momento presente. Mindfulness è la traduzione della parola sati  che in lingua Pali – il linguaggio utilizzato dal Buddha per i suoi insegnamenti – significa consapevolezza, attenzione, presenza mentale.
Infatti, lo strumento centrale della mindfulness è la pratica della meditazione, utilizzata per prestare attenzione alla propria esperienza del momento presente, in un stato di autentica quiete non reattiva.

Ritrovarsi, liberi dal giudizio
Come operatrice  sviluppo la capacità di mindfulness attraverso una pratica individuale e successivamente la porto nell’incontro con il ricevente, sviluppando  così una pratica di contatto mindful.
La presenza non reattiva  richiede tempo e pratica per stabilizzarsi. Inizialmente è un vero e proprio lavoro, successivamente può diventare  un’attitudine nella quotidianità, un modo in cui la nostra essenza trova la possibilità di esprimersi in modo autentico.

Come docente, durante  i corsi di formazione, invito  gli studenti a iniziare con l’osservazione della propria tridimensionalità, della pelle e dei ritmi  interni come il respiro e il battito del cuore. È importante imparare a riportare l’attenzione sul proprio intento di essere presenti ogni volta che ci si distrae, senza giudicarsi.

L’allenamento è proprio questo ritmico  ritornare più e più volte, nell’arco delle meditazioni, ai diversi oggetti dell’attenzione per aumentare la stabilità  del nostro essere presenti, ed essere in grado di portare  questo atteggiamento nelle sessioni di pratica. In questo modo i riceventi si sentiranno  liberi di esprimersi e di mostrare i propri  vissuti, percependo negli operatori una presenza accogliente di sostegno e di supporto.

IMPARIAMO AD ACCOGLIERE
Essere presenti o pienamente presenti significa proprio questo:
portare attenzione intenzionalmente e in modo non giudicante a quello che emerge, ascoltando sensorialmente il proprio esserci.
Questo include l’uscire dal flusso ordinario della reazione per osservare da un luogo più originario, imparando a seguire il proprio processo consapevolmente, e accogliendo sensazioni, immagini ed emozioni, via via che si manifestano.

secondo passo3I FULCRI DELL’OPERATORE

Uno stratagemma utilizzato dagli operatori di biodinamica craniosacrale per garantire la giusta distanza nella relazione e incrementare la qualità della presenza è quello di stabilire i fulcri dell’operatore. Sono quattro, per impararli posso utilizzare semplici visualizzazioni.

  • Il primo è il fulcro dell’osservatore: attraverso di esso posso offrire un campo di relazione pulito.
    Chiamo neutra questa qualità di osservazione vigile e non reattiva, uno sguardo equanime, che oltre a essere neutro è intriso di fiducia e di quiete. Mi rendo testimone cosciente dell’esperienza.
  • Il secondo è il fulcro della terra: si riferisce alla consapevolezza della Madre Terra, dalla quale arriva l’energia che è alla base della vita.
    Seduta sulla sedia, mi immagino che dalla base della colonna vertebrale, dal coccige, parta una linea immaginaria che si va ad ancorare profondamente nel terreno, quest’ancora che si muove insieme a me, mantiene sempre il radicamento. È utile ritornare a questo fulcro quando nell’incontro con l’altro mi sento poco stabile, spaventata o sopraffatta.
  • Il terzo è il fulcro del cielo: include il senso di vastità che posso contattare spostando l’attenzione verso il cielo.
    La connessione con il cielo mi apre al vasto campo delle possibilità. Ritornare a questo fulcro è utile quando sento che non ci sono possibilità o quando non riesco a vedere nessuna soluzione.
  • Il quarto è il fulcro dell’orizzonte: rimanere connessa all’orizzonte, mantenere lo sguardo aperto, è come essere in cima ad una montagna, dove posso percepire lo spazio a 360°.
    Se perdo la connessione con l’orizzonte, la mia visione si restringe e perdo il senso dell’interezza. Utilizzo questo fulcro per mantenere l’orientamento al campo ampio.

Ritornare a visualizzare ognuno di questi fulcri percettivi può essere utile in vari momenti della sessione di biodinamica craniosacrale o anche della mia vita nella relazione con l’altro, per creare e mantenere un campo di relazione sicuro.

Scarica qui l’articolo pubblicato su Natural Mag, in formato pdf