CRANIO EUROPA:
Il primo meeting delle associazioni europee, si è svolto a Olten, in Svizzera, alla fine di giugno e per Acsi era presente la nostra Rosella Denicolò del direttivo dell’associazione.
Un’Europa del Craniosacrale quasi al completo.
Con operatori che sono arrivati da:
Svizzera, Germania, Spagna, Russia, Olanda, Inghilterra, Repubblica Ceca, Austria, Svezia. E naturalmente Italia.
Rosella ci racconta come è andata:
Inizio dei lavori alle 8,30.
Quando entro in sala i colleghi sono già tutti presenti, seduti dietro a tavoli bianchi disposti a ferro di cavallo.
Alla scrivania Ellen Groesser, dell’associazione tedesca, ha già iniziato da qualche minuto la sua relazione. Precisione svizzera. Siamo a Olten, una cinquantina di chilometri da Zurigo, in una sala conferenze tutta bianca. Dalle finestre vedo il fiume Aare e le ferrovie svizzere. Mi scuso per il ritardo e mi siedo. Di fianco a me Konstantin Sharapov, un imponente russo con il suo traduttore personale che gli bisbiglia nelle orecchie.
Ellen mostra grafici e illustra i dati che ha raccolto dalle diverse associazioni dei diversi paesi.
Le prime parole che mi arrivano sono: assicurazioni, sistema sanitario nazionale, rimborsi. Tutti argomenti che non mi entusiasmano molto, che mi riportano a un rapporto con il mondo e le istituzioni fatto di regole, di standard, di protocolli, di strategie per essere riconosciuti. Sento la mia fatica nel seguire il discorso.
Avrei preferito iniziare con una meditazione e sentire la marea lunga che ci attraversa, ma il rapporto con il mondo sembra esigere questo sforzo. Guardo i grafici. In Svizzera, Inghilterra e Austria, le sedute di craniosacrale sono rimborsate dalle assicurazioni private mentre in Germania vengono in parte pagate dal sistema sanitario se sono dichiarate come osteopatiche. In Nord Europa il craniosacrale ha uno status completamente diverso rispetto all’Italia e alla Spagna. In Svizzera,per esempio, il craniosacrale è stato –anche se da pochissimo- riconosciuto dallo stato federale come una terapia complementare.
In Italia, come sappiamo, craniosacrale èuna disciplina bionaturale, assolutamente non una terapia e con mille divieti sull’utilizzo di tante parole. Solo per citarne alcune: terapia, patologia, sintomo, curare, guarigione, non possono rientrare per nessun motivo nel nostro vocabolario.
E’ piuttosto bizzarro che una disciplina come la nostra, sia considerata in maniera così diversa da uno stato all’altro. In Svizzera siamo terapeuti, in Italia no. In Germania possiamo parlare di guarigione o autoguarigione, in Italia solo di vitalità. Ancora più bizzarro anche perché i training di formazione hanno un numero di ore di lezione frontale abbastanza simile – dalle 300 alle 400 – per la maggioranza dei paesi.
Mi rendo conto che il tema dell’essere riconosciuti tocca una sfera importante e delicata. E’ molto più che solo standard e protocolli.
Per essere riconosciuti dagli altri (istituzioni, territorio, clienti) occorre innanzitutto sviluppare la consapevolezza di chi siamo, e il riconoscersi tra associazioni dei diversi stati è anche una questione di identità. Chi siamo nonostante le differenze culturali, le provenienze, le leggi nazionali? Chi siamo come operatori di craniosacrale? Che formazione abbiamo avuto? Cosa ci accomuna?
Una frase che è emersa a un certo punto della discussione è stata: “è bello vedere che non siamo soli”. Dopo tanti numeri, è una frase che tocca il cuore e che fa percepire lo stato ancora pionieristico del nostro lavoro. I pionieri non sono mai molti, sono dei ricercatori, con l’entusiasmo che muove la scoperta e l’incedere in territori inesplorati.
Riconoscimento va di pari passo con ricerca. Ed è questo il secondo punto a cui il meeting ha dato molto spazio.
Heidemarie Haller psicologa e craniosacralista, ha presentato un studio ancora inedito,che svolto all’interno della Facoltà di Medicina dell’Università di Suisburg-Essen in Germania. L’obiettivo era valutare l’efficacia della craniosacrale sul dolore cronico al collo. Si tratta di uno studio scientifico che ha coinvolto 58 persone in tutto e che è durato tre mesi. 27 persone hanno ricevuto il trattamento craniosacrale, mentre le altre 27 (gruppo di controllo) hanno ricevuto solo un massaggio leggero al collo. Otto sedute a frequenza settimanale. Il risultato è stato non solo di una riduzione del dolore nelle persone trattate con il craniosacrale, ma anche uno stato di maggiore benessere generale e di maggiore serenità. Molti dei partecipanti hanno smesso di assumere farmaci per il dolore, si sono sentiti più vitali e rafforzati. La ricerca di Haller verrà pubblicata in ottobre da una rivista scientifica e solo allora potremo pubblicarne tutti i dettagli.
Sull’importanza della ricerca sul craniosacrale sono tutti d’accordo: è necessario promuoverla e trovare risorse per studi scientifici fondati. Allo stesso tempo ognuno di noi, come operatori può darsi da fare per raccogliere informazioni direttamente dalle storie dei suoi clienti. In Inghilterra e in Germania hanno iniziato a raccogliere questi dati attraverso schede che vengono compilate dal cliente e dall’operatore. Un lavoro certosino che porterà frutti nei prossimi anni.
Per ottenere il giusto riconoscimento e per condurre ricerca,abbiamo bisogno di fare rete: scambiare le ricerche, scambiare le idee per la relazione con le istituzioni, scambiare dati e informazioni. Su questo punto tutte le associazioni sono d’accordo e all’unanimità decidiamo di proseguire questi lavori. Il prossimo appuntamento è già fissato per il 2016. A giugno in Austria.
C’è ancora un punto della presentazione di Ellen che non ho citato.
Nella maggioranza dei paesi europei c’è un aumento significativo della richiesta di sedute di craniosacrale. A parte Inghilterra e Olanda dove la domanda è stabile, in tutti gli altri paesi l’interesse è in costante aumento. E’un altro tipo di riconoscimento, che parte dal basso, dalle persone, dai clienti che con il craniosacrale si sentono meglio, più nel corpo, più integrati e presenti. Sono loro che ci stanno aiutando a fare rete. L’invio, da parte di un altro cliente è infatti una delle principali modalità in cui il nostro lavoro si diffonde e si fa conoscere.
Alle 6 del pomeriggio stiamo ancora parlando sui progetti futuri e sull’importanza di questo incontro. 8 ore di discussione sono proprio abbastanza. E mi fa piacere, dopo la foto di gruppo, fare due passi lungo il fiume Aare con Amanda (UK) e Doris Plankl (Italia) e attraversare il suo famoso ponte di legno.