La prassi alla luce di una rivisitazione dei riferimenti teorici
Elaborato di Craniosacrale Biodinamico di Paolo Antonio Amadio
La Tesi è collegata ad una precedente Tesi “Shiatsu e Costellazioni familiari – I diari del silenzio” e alla prossima Tesi “Il Tocco e la Parola” per la laurea in Psicologia e come le altre verte sull’analisi della fenomenologia che accomuna prassi diverse a favore della salute.
Il quesito di fondo è se un’unica fenomenologia possa raccordare le discipline a mediazione corporea, che si basano sul tocco con quelle a mediazione linguistica come la psicologia e la programmazione neurolinguistica e se la teoria relativa a quella fenomenologia possa informare le diverse prassi.
La tesi è una sorta di promemoria di utilità riguardo alle considerazioni, alle ipotesi e alle scelte teoriche che possono orientare e dare forma alla prassi Craniosacrale e che permettono di renderla integrabile con la corrispondente prassi di Shiatsu.
Una integrazione “disciplinata” che mi auguro sia utile ai molti che come me praticano l’approccio del tocco di ascolto (biodinamico) e che hanno fatto il mio stesso percorso di formazione nelle discipline a mediazione corporea di Shiatsu e Craniosacrale biodinamico.
La tesi prende in considerazione l’insegnamento Craniosacrale biodinamico con particolare riferimento a James Jealous e l’insegnamento d’ispirazione biodinamica “Hado Shiatsu” di Patrizia Stefanini, entrambi ispirati al cosiddetto “minimo stimolo” che può essere descritto attraverso la circostanza che lo permette e l’effetto che produce:
quando in un trattamento a mediazione corporea, l’operatore e il
ricevente siano in condizione di “risonanza di fase”, un particolare
“contatto non manipolativo” può stimolare un processo
riorganizzativo non limitato alla struttura/funzione del tessuto
direttamente interessato dal contatto
La considerazione generale è che il Craniosacrale, è espressione della cultura occidentale e lo Shiatsu, espressione di quella orientale, pur avendo teorie peculiari, frutto della provenienza e dei percorsi di ciascuna, che forniscono spiegazioni diverse su ciò che si cerca come lo si cerca e che cosa s’incontra nei trattamenti, condividono l’essenziale, ovvero la persona come interlocutore, il contatto fisico come mezzo e la salute come scopo.
Si osserva come l’evoluzione della teoria e della prassi di entrambe le discipline abbia seguito un percorso “dal materiale all’immateriale” e che il contatto sia passato dalla manovra e dalla digito pressione iniziali al tocco di ascolto dell’impercettibile.
Si può ipotizzare allora che esse possano anche condividere riferimenti teorici comuni, in parte avulsi dalle teorie di riferimento e dal lessico di ciascuna.
E quando si dice teoria, come se si trattasse di una cosa campata in aria, possiamo ricordare Kurt Levine quando sosteneva che “non c’è niente di più pratico di una buona teoria”.
Infatti ne derivano orientamenti e scelte precise nella prassi.
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